su chi le labbra imprimerò, le braccia
chiuderò? Deh, potessi al par d’un’ape,
le querele di tutti insieme accolte,
in un profluvio riversar di lagrime!
Se voce alcuna dei mortali giunge
nell’Ade, o mio diletto Ercole, a te
favello: il padre, i figli tuoi soccombono,
perduta io son, che avventurata gli uomini
già dicevan per te. Corri al soccorso,
móstrati a me, sia pur come ombra: giungi,
sia pur simile a sogno: innanzi a te,
vili son quelli che i tuoi figli uccidono.
anfitrione
Donna, tu della morte i riti appresta.
Ed io, le mani al cielo alzando, o Giove,
favello a te: se tu recar soccorso
a questi figli vuoi, piú non tardare:
ché presto in tempo non sarai. Chiamato
t’ho molte volte; e fu vana fatica,
dacché la morte, sembra, è necessaria.
È la vita, o vegliardi, un picciol bene,
né modo v’ha migliore di trascorrerla,
che giungere ogni dí da mane a sera
senza dolore. Ché il tempo non sa
mantener le promesse, anzi il suo cómpito
affretta e fugge via. Guardate me,
che un tempo mèta agli occhi ero di tutti
per la celebre mia felicità,
e la Fortuna or via me l’ha rapita,
come piuma nell’aria, in un sol giorno.