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nutriti v’ho, perché foste ludibrio
e sterminio ai nemici, e vituperio.
Ahimè!
Come abbattute le speranze furono
che un giorno io concepii per le promesse
del padre vostro! Il morto padre, a te
Argo assegnava; ed abitata avresti
la casa d’Euristèo, della feconda
terra Pelasgia avresti avuto il regno;
e a te cingeva del leone il vello,
ond’ei schermito andar soleva. Tu
di Tebe dai bei cocchi eri signore,
redavi i campi della patria mia,
tanto molcivi di tuo padre il cuore;
e nella destra a te ponea la clava
schermitrice dei mali, il dono subdolo
di Dèdalo. Ed a te fece promessa
d’Ecalía, la città che un giorno egli ebbe
col lungi saettante arco distrutta.
Del suo valor nell’alto orgoglio, il padre
a tre regni estolleva i suoi tre figli;
ed io sceglievo il fiore delle vergini
per celebrar le vostre nozze, a Tebe,
a Sparta, ed in Atene, affinché, stretta
a saldi ormeggi, trascorresse prospera
la vita vostra. E tutto ora è finito:
la fortuna ha mutato, e vuol che spose
le Parche invece abbiate, e ch’io di lagrime
lavacri nuzïali appresti a voi.
Il banchetto di nozze appresta il padre
di vostro padre: ché l’Averno ei reputa
suocero vostro. Ahi, chi di voi per primo,
chi per ultimo al seno io stringerò,