s’avvisa una città, se la funestano
discordia e mal consiglio; e se no, mai
Tebe t’avrebbe suo signore eletto.
megara
Vecchi, v’approvo. Devono gli amici
di giusto sdegno per gli amici accendersi;
ma non sia che per noi contro il tiranno
saliti in ira, incorrere dobbiate
in qualche danno. Il mio parere ascolta,
Anfitrïone, se ti par che valga.
I figli io prediligo. E potrei forse
non amar quelli a cui la vita diedi,
per cui soffersi? E cosa orrenda credo
che sia la morte; eppure, chi resistere
vuole al destino, vile uomo lo reputo.
Morire è d’uopo; ma morir distrutti
dal fuoco non conviene, ed argomento
esser di riso pei nemici, ch’è
male, per me, peggiore della morte.
Obblighi grandi impone a noi la mia
progenie illustre: a te vieta morire
di vil morte la tua gloria guerresca.
E non vorrebbe — non occorre addurre
prove — l’illustre sposo mio che salvi
fossero i figli, e la lor fama trista.
Per le vergogne dei lor figli, soffrono
i generosi; e dello sposo mio
repudiar l’esempio non m’è lecito.
Ascolta poi quello ch’io penso circa
le tue speranze. Il tuo figliuolo, credi