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LE SUPPLICI 7

questa rupe, verso il fine del dramma, i servi devono innalzare la pira di Capanèo.

Intorno all’ara, sono prostrate le madri dei sette duci, che gemono e si percuotono con le mani la testa e il petto. Ad un livello inferiore, lo stuolo delle ancelle, che fa riscontro, con lugubre simmetria, a quello delle madri.

Dinanzi alle supplici, si leva alta la veneranda figura di Etra. Alla porta del tempio, anch’egli miseramente supplice, il re Adrasto. D’intorno a lui, i figli dei caduti. E tutti reggono le bende e le palme dei supplici1.

Il quadro è opulento, pittoresco, meraviglioso, già considerato in sé stesso, nella sua staticità. Ora, cerchiamo di rappresentarcelo nei suoi movimenti, le modificazioni, gl’intrecci che assumeva nello svolgersi dell’azione: immaginiamo, per addurre un esempio, il momento in cui le vecchie madri si levano dal suolo, e, sostenute dalle ancelle, si trascinano innanzi a Teseo, per cadere, nuovamente prostrate, ai suoi piedi. E si vedrà che questi quadri, nella loro solennità e apparente staticità, sono pur suscettibili di effetti grandiosi e largamente dinamici. E altrettanto e piú si può dire dell’arrivo delle salme, quando le madri si cospargono il capo di polvere, si battono il petto, si lacerano le gote; e, dopo l’episodio di Evadne, il ritorno dei figli degli eroi, che portano ciascuno l’urna con le ceneri del padre.

Voglio concludere che, in mezzo a questi quadri che nella realizzazione scenica debbono risultare cosí pittoreschi, grandiosi ed efficaci, l’episodio di Evadne non giunge come alcunché di eterogeneo. È assai piú violento. Ma, poiché non

  1. Dal monologo di Etra si rileva che con questo quadro scenico si apriva l’azione. Ma quando era stata occupata la scena, se non c’era velario? Prima che entrassero gli spettatori? Non è verisimile. Dinanzi ai loro occhi? Non se ne vede il come. Per conto mio, non saprei concludere se non con un interrogativo.