l’avessero; e gridò, sinché non vide
candida spuma dalla bocca scorrere,
e lei stravolger le pupille, e il sangue
dalla pelle sparito; e un urlo alzò,
ben differente, di cordoglio. E súbito
alla reggia del padre una volò,
un’altra al nuovo sposo, e la sventura
narrâr della fanciulla; e d’un accorrere
fitto, sonora fu tutta la casa.
E tanto tempo era già corso, in quanto
un veloce pedon, doppiando il braccio
d’una lizza di sei plettri,13 tornato
al termine sarebbe; e la tapina
dal muto e cieco stato si destò,
grida levando orribili: ché duplice
spasimo aveva le sue fibre invase:
dal serto d’oro al capo attorno cinto,
d’arcano fuoco un rivolo sprizzava
divoratore; ed il fin peplo, dono
dei figli tuoi, le carni divorava
dell’infelice. E, balzando dal trono,
s’avventa, in fiamme, squassando qua e là
e chioma e capo, per gittare il serto.
Ma dell’oro ben salda era la presa;
e il foco, quanto piú scotea la chioma,
tanto piú sfolgorava. E a terra cadde,
dallo spasimo affranta; e riconoscerla,
niun, tranne il padre suo, potuto avrebbe:
ché ben distinta la forma degli occhi
non era piú, né ben formato il viso;
e sangue giú dal vertice del capo,
misto a sangue, stillava, e, lungo l'ossa,
le carni, pari a lagrime di pino,