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MEDEA 77


medea

Cosí farò. Tu entra, e ai figli appresta
quanto per oggi ad essi occorre. O figli,
o figli, a voi non manca né città
né casa, dove, della madre orbati,
abiterete eternamente; ed io
andrò fuggiasca ad altra terra, prima
ch’abbia di voi gioito, abbia la vostra
felicità veduta, ad una sposa
v’abbia congiunti, e il talamo di nozze
adornato, e levate alte le fiaccole.
Ahi, tristo frutto dell’orgoglio mio!
Invano, o figli, v’ho nutriti, invano
in fatiche mi strussi, e m’affannai,
doglie crudeli soffrendo nei parti.
Misera! E un dí tanto sperai che voi
curata avreste la vecchiezza mia,
che con le vostre man’ curato avreste
il mio corpo defunto, ch’è tra gli uomini
invidiato ufficio. Adesso, è spenta
la soave speranza; e, di voi priva,
trista sarà per me, sarà dogliosa
tutta la vita. E gli occhi vostri piú
la madre, o figli, non vedranno: ad altra
forma di vita passerete. Ahi, ahi!
Le pupille su me perché levate?
Perché ridete il vostro ultimo riso?
Ahi, che farò? Mi manca il cuore, o donne,
se fisso gli occhi dei miei figli fulgidi.
No, ch’io mai non potrò! Vadano spersi
tutti i disegni di poc’anzi: i figli
miei, condurrò lontan da questa terra.