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O Poliníce, il tuo nome, fatidico ahimè, fu per Tebe:
fu la tua gara, non gara, ma strage su strage
funesta alla casa d’Edípo,
compiuta con empio sterminio,
con luttuoso sterminio.

Chi chiamerò, quale cantico
che echeggi i miei gemiti,
ond’io lagrimo, lagrimo,
o stirpe, o stirpe misera,
queste tre consanguinee
salme recando, la madre e i figli,
dell’Erinni ludibrio,
che addusse la progenie
quando il sagace interprete, l’enigma
intese della Sfinge, e pose termine
alla sua vita, ai cantici.

Oh padre, oh padre, ahimè,
quale Ellèno, qual barbaro,
mai, fra gli antichi principi,
nato di sangue efímero,
patí cosí visibile
lutto, con tanto spasimo?

Misera me! Quale alígero
sopra le vette piú eccelse
di querce o d’abete, alla nenïa
mia, di quest’orfana,
risponderà?

Ahimè ahimè, fra i gemiti,
sopra questi cadaveri