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coro
Marte, di triboli padre, perché fra la morte e l’eccidio
sempre t’aggiri, nemico ti serbi alle feste di Bromio?
Non tu fra leggiadre corone di floridi giovani
effondi le anella del crine, né accordi la voce con gli aliti
del flauto che ispirano del ballo le grazie:
contro la stirpe che nacque da Cadmo, i guerrieri tu spingi che fulgono
nell’armi, tu spingi l’esercito,
un ballo guidando che ignaro è del flauto.
Né, pieno del Dio che folleggia col tirso, ti cuopri di nèbridi,
ma spingi con carri, con briglie, il corsier solidúngulo,
e d’Ismèno correndo sui margini,
sugli Argivi sospingi lo scàlpito
dei cavalli, sospingi la furia
degli Sparti, che imbracciano, tíaso
bellicoso, gli scudi, e scintillano
di bronzo, schierati
lunghesse le mura lapídee.
L’Erinni è terribile Dèmone,
che contro i signori di questa contrada, i Labdàcidi,
sciagure terribili macchina.