Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/258


LE FENICIE 255

questa terra che per me fu nutrice, ed i Celesti,
ch’io bandito son, d’offese, d’ingiustizie sono oppresso,
come un servo, quando invece figlio son d’un padre stesso.
Or, se mai qualche sciagura su te, patria, piomberà,
a costui, non a me devi dame colpa: ch’io di qua
contro voglia parto, come contro voglia son venuto.
Febo, a te, signor dei tramiti, a te, casa, il mio saluto,
ed a voi, dei Numi statue, ed a voi che in gioventú
foste a me compagni: ignoro se parlarvi io potrò piú.
Pur, non morta è la fiducia; ma costui spengere io spero
con l’aiuto dei Celesti, e di Tebe aver l’impero.

eteocle

Esci fuor di questa terra. Bene il padre, Poliníce
ti chiamò: nome fatidico, che a riotte ben s’addice.
Escono.