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LE FENICIE 217

l’educatore suo, lo die’. Frattanto
coi suoi sterminî imperversava sopra
Tebe la Sfinge; e morto era il mio sposo.
E il fratel mio Creonte, al bando pose
il letto mio: che della scaltra vergine
chi sciogliesse l’enigma, avrebbe asceso
il mio giaciglio. E quell’enigma sciogliere
Edípo seppe, il mio figliuolo; ond’egli
eletto fu signor di questa terra,
di questo suolo in premio ebbe lo scettro,
e me sposò, la madre sua, ch’ei, misero,
nulla sapeva, e neppure io sapevo
che m’univo col figlio. E al figlio mio
figliuoli generai: due maschi, Etèocle
e Poliníce, valoroso e celebre,
e due figliuole; ed una d’esse, Ismène
chiamava il padre; ed io la prima Antígone.
Or, come apprese le sue nozze quali
eran, materne nozze, al fondo sceso
d’ogni sciagura, Edípo, orrenda strage
fece degli occhi proprî, insanguinandone
con fibbie d’oro le pupille. E quando
già s’ombrava la guancia ai figli miei,
tennero in casa il padre lor nascosto,
perché scendesse oblio su la sciagura
che velare si può solo con molti
accorgimenti. E nella casa ei vive.
Ma, nel tormento di sciagura, lancia
ai suoi figliuoli imprecazioni orribili:
ch’essi i beni paterni compartiscano
con la spada affilata. E quei, temendo
che compiessero i Numi, ove un sol tetto
abitassero entrambi, i voti suoi,