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LE FENICIE 207


E poi, d’episodio in episodio, dal principio alla fine, c’è un tèma, che coi suoi ritorni costituisce la spina dorsale del dramma. Ed è il dolore di Giocasta. Questa è la vera, la grande intuizione d’Euripide, e non già, come opina la maggioranza dei critici, il colloquio tra i due fratelli.

E per intenderne la genialità profonda, bisogna tornare un istante col pensiero al diverso trattamento del mito nei tre sommi tragediografi.

Ne I Sette a Tebe, la lotta fratricida si compie sola, nella sua necessità fatale: presso ai due fratelli non è alcuna persona cara, e appena un’apostrofe della Corifea cerca, invano, di distogliere Etèocle.

Nell’Edipo a Colono, sulla via di Polinice che muove contro la patria, si trovano l’imprecante Edipo e la supplice Antigone.

Euripide resuscita addirittura Giocasta, che il mito diceva morta súbito dopo la rivelazione fatale. Ardimento che anche oggi, a noi, sembra eccessivo. Ma cosí, di fronte al piú orrido scempio, il poeta pone la sensibilità piú esacerbata. E chi pensa piú al Fato, dinanzi agli sforzi disperati, allo spasimo disumano, alla fiera morte della madre dolorosa?

E questo è il motivo dominante, questo il centro intorno a cui gravitano gli altri elementi del dramma. Qui è l’unità d’azione, che i critici vanno angosciosamente cercando nella materiale connessione degli episodî. Il vero titolo di questa tragedia dovrebbe essere: La passione di Giocasta.

Un dramma di materia cosí ricca, cosí addensata, difficilmente poteva schivare la monotonia. Euripide la schiva, o, tenta, mediante la varietà, palesemente cercata nella scelta e nella disposizione degli episodî.