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LE FENICIE 205

come si rileva da continuate osservazioni del Patin, quello che si può e si deve legittimamente ricavare dagli scritti d’Aristotele e d’Orazio, quanto quello che ispirò e guidò i moderni tragediografi classicizzanti, massime francesi, e i critici, anche famosi, che derivarono le loro teorie piú da questi che non dagli antichi modelli greci. Vediamolo, questo concetto, definito e messo in opera da uno dei suddetti critici, istoriografo, a suo tempo celeberrimo, né ancora dimenticato, della letteratura mondiale: da Giovanni Andres: «Un buon poeta — dice l’Andres, mescolando, a proposito di Goldoni, qualche giusta osservazione con una quantità di censure che oggi ci sembrano amene — non può frammischiare una parola che direttamente non tenda all’inviluppo e allo scioglimento del nodo che tiene occupato l’animo degli spettatori; ha sempre ad accrescere l’interesse, sempre avanzare nella marcia; e un passo che non serva per farsi avanti, dèe considerarlo come una storta e riprensibile deviazione»1.

Non si scherza, signori: mai Dracone non comminò pene piú severe; ed esaminati a simile traguardo, tutti, ad uno ad uno, i drammi dei Greci, risulterebbero monchi, sbiechi, sbilenchi.

Se non che, l’unità intesa in questo modo, è cosa astratta e matematica, e piú delle scienze che non delle arti. Unità ci dev’essere; ma non di tal genere; accessibile, del resto, a chicchessia, anche, anzi, specialmente quando non possegga veruna qualità intuitiva. L’unità deve rampollare, non da regole prefisse, bensí da un profondo istinto dell’artista.

Quando un artista ha scelto il suo soggetto, nel suo spirito, dove se ne svolge l’elaborazione, accorrono da ogni parte, per arcana attrazione, elementi d’ogni specie. Le determinanti

  1. Giovanni Andres, Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura, (Parma) II, 374.