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Uno dei caratteri piú salienti de Le Fenicie, e che primo colpisce qualsiasi lettore, è la straordinaria ricchezza della materia.
Sfogliamo, rapidissimamente, la tragedia. C’è il prologo di Giocasta. Poi, la descrizione, che il pedagogo fa ad Antigone, dei sette duci assedianti. Ecco l’ingresso delle donne Fenicie che formano il coro: ed ecco l’arrivo e il soliloquio di Polinice, il duetto con la madre Giocasta, il terzetto con lei ed il fratello Etèocle. — Consiglio di guerra fra Etèocle e Creonte.
Un largo canto corale. E dopo, sopraggiunge Tiresia, e sostiene la necessità del sacrificio di Menecèo: episodio inatteso, che allarga improvvisamente l’orizzonte della tragedia, e sembra avviarla a nuove mète. Scena fra Creonte e Menecèo, poi fra Menecèo e le donne Fenicie, alle quali il giovine confida la sua ferma decisione di sacrificio.
Nuovo canto del coro, e poi compare l’araldo. Sicché tutti disponiamo l’anima alla catastrofe, tutti aspettiamo che il poeta stringa le fila, già numerose, del dramma.
E invece, qui comincia a svolgerle piú copiose. Sdoppia, per cominciare, l’esito della pugna. Il nemico è stato respinto dalle mura, ma non ancora interamente debellato; e i due