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ALCESTI | 115 |
sione1. E non si lascia scappare occasione di ribattere il suo chiodo. A proposito de Le Trachinie, annovera l’Alcesti fra i drammi satireschi e le commedie siciliana ed attica. E scarta l’opinione del Bloch, che propende a vedere nell’Alcesti una vera tragedia. E come conclusione al capitolo, afferma che la concezione sentimentale dell’argomento, come la troviamo nel libretto del Calzabigi per la musica di Gluck o nell’Alcesti di Wieland (poteva degnarsi di citare anche l’Alfieri) è affatto moderna.
E sta bene. Ma rendiamoci conto, ben chiaramente, delle conseguenze implicite in queste limitazioni. Euripide avrebbe concepita l’Alcesti come lavoro essenzialmente burlesco: poi, lavorando, gli sarebbe venuto fuori questo dramma, che non può proprio passare per un quissimile del Ciclope. Insomma, bisognerebbe capovolgere il famoso motto d’Orazio, e dire: urceus coepit institui, currente rota amphora exit.
Ma un’anfora un po’ incrinata: a picchiarla con le nocche, qua e là il suono riuscirebbe fesso.
E non potrebbe essere altrimenti. In questo lavoro, i colori serii e comici si sarebbero sovrapposti un po’ a caso, e non per effetto d’una concezione che volontariamente li riunisse ed armonizzasse per adeguare sempre meglio l’opera d’arte alla vita. Sicché, mancando la volontà disciplinatrice, non poteva risultarne che un prodotto ibrido. E ibrida sarebbe l'Alcesti nel giudizio conclusivo del Christ, perché accozza bruscamente un principio serio con una chiusa burlesca. Su questo carattere burlesco vorrei proprio sentir l’opinione degli innumerevoli spettatori, che a Pompei, quando Ercole scopre il viso della rediviva Alcesti, si trovarono con gli occhi molli di lagrime.
- ↑ Ein künstlerischer Mangel des euripideischen Stückes ist nur, dass in zwei unvermittelte Teile, einen ganz einsthaften Angang und einen burlesken Schluss auseinanderfallt.