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110 | EURIPIDE |
peranza squisita, al vero eroismo, averne foggiata una figura che è la piú puramente eroica di tutto il teatro euripideo, e forse di tutto il teatro greco; e, certamente, la piú simpatica 1.
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Dunque, una materia ricca e varia, disposta in tanti quadri che si succedono con gran libertà.
Nella scelta e nella disposizione di questi quadri, una evidente mira al contrasto fra l’uno e l’altro, sí che l’animo degli spettatori sia repentinamente trasportato in sfere di sensibilità lontane, e spesso opposte.
Una rinuncia assoluta alle forze soprannaturali come fattori drammatici. Anzi dal prologo vediamo che qui gli Dei non possono nulla: contro la morte, Apollo stesso è impotente. E cosí il prologo rimane perfettamente isolato, senza influsso su lo svolgimento, che si compie solo per effetto delle passioni umane, studiate con insistente spietata precisione di notomista.
E tra le forze umane ce n’è una che alla prova si mostra superiore alle soprannaturali: l’eroismo. Dove Apollo non può, Ercole può. Sotto la buccia della favola è facile scoprire una concezione profondamente filosofica. Né la riterremo casuale in un’opera del pensatore Euripide.
Una larga introduzione di elementi comici, che conferiscono varietà e agilità alla materia tragica, e la rendono aderente alla vita, e perciò d’interesse perenne, senza punto intaccarne la serietà essenziale.
Il coro sottratto alla concezione arcaica, risoluto nei suoi
- ↑ Sia sempie onorata la verità. Il vecchio Hermann, in contrasto con l’opinione corrente (vedi oltre), aveva già scritto (Opusc. II, 318): «Hercule illo vix quidam divinius ab Euripide factum est.»