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il Diòniso di Prassitele, asseriva che esso era nel marmo quale Euripide lo aveva effigiato nel verso1.

Ma piú che altro questa abilità pittorica è volta a rappresentare il singolare magico paesaggio.

Date le speciali condizioni del teatro greco, il drammaturgo non poteva sperare una realizzazione scenica che in qualche modo equivalesse agli sfondi, quasi sempre meravigliosi, sui quali, nell’allucinazione dell’estro, aveva vedute svolgersi le vicende dei suoi drammi. Perciò tentava di fissarli nella trama dei versi.

E, d’altra parte, il genere drammatico è per sua natura contrario alle troppo lunghe descrizioni di paese: bisognava dunque ottenere un grande effetto con pochi mezzi.

Si può dire che Euripide eccelle in quest’arte. E nelle Baccanti, stravince.

Se analizziamo, le sue descrizioni non sono lunghe.

                                   In una gola
cinta di rupi, fra spicciar di linfe,
sotto l’ombra dei pini, eran le Mènadi. —

E pria posammo in un vallone erboso,
muti, smorzando il battito dei piedi.

                         ghermita d’un abete
la somma vetta che toccava il cielo.

Brevi cenni. Eppure tutti i critici hanno osservato, e ogni lettore e ogni spettatore sente tutta questa tragedia pervasa da odor di pini e da orrido incanto di solitudini alpestri.

  1. Stat. 8: ἦν δὲ ἀνθηρός, ἀβρότητος γέμων, ἰμέρῳ ῥεόμενος, ιἷον αὐτὸν Εὐριπίδης ἐν Βάκχαις εἰδοποιήσας ἐξέφηνε.