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18 | EURIPIDE |
E tra i cori e l’azione, appare ritratta in ogni suo particolare la mutevole fisonomia di Diòniso quale ho cercato tracciarla. La parte comica è, naturalmente, sparita. E tuttavia tracce ne permangono, per esempio nella scena del travestimento di Penteo, che diede il modello ad una scena delle Tesmoforiazuse d’Aristofane.
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Il mito di Diòniso aveva molti elementi magici. Euripide li sviluppa mirabilmente, e ne avvolge tutta la tragedia d’una prestigiosa atmosfera. Fin dalle prime battute ci sentiamo presi in un mondo d’allucinazione, ed incomincia a insinuarsi nell’animo nostro un indefinibile senso d’inquietudine. Cadmo e Tiresia, vegliardi, appaiono in veste di baccanti, pronti alla danza. Il presunto ciurmadore, Diòniso, che neanche le Baccanti sue seguaci conoscono per Dio, giunge avvinto di catene, e ride: rideva anche nel momento che lo fecero prigione. Quando Penteo lo fa trascinare nelle stalle, e legare, l’ordine naturale si sommuove: dalla tomba di Semele si levano altissime fiamme, la terra traballa, la reggia di Penteo arde e crolla. Giunge dal Citerone il pastore, e narra i prodigi delle baccanti. Penteo s’induce a vestirsi da donna, allucina, e crede scorgere due soli, e Diòniso tramutato in toro: l’allucinazione diviene follia, e i suoi discorsi d’ora in poi son privi di senso. Quando sono tra i monti, Diòniso ghermisce l’altissima vetta d’un abete, e la flette al suolo. All’urlo eccitatore del Nume, le belve, le foglie, i venti, tacciono, e una luce soprannaturale arde tutto l’ètere. Agave compare recando infitta sul tirso la testa del figlio, e giubila.
E segue la meravigliosa scena fra Agave e Cadmo. È un vero e proprio esorcismo. Cadmo impone alla figliuola di fissar lo sguardo nell’ètere, per immergerla in una specie di ca-