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E tra i cori e l’azione, appare ritratta in ogni suo particolare la mutevole fisonomia di Diòniso quale ho cercato tracciarla. La parte comica è, naturalmente, sparita. E tuttavia tracce ne permangono, per esempio nella scena del travestimento di Penteo, che diede il modello ad una scena delle Tesmoforiazuse d’Aristofane.

Il mito di Diòniso aveva molti elementi magici. Euripide li sviluppa mirabilmente, e ne avvolge tutta la tragedia d’una prestigiosa atmosfera. Fin dalle prime battute ci sentiamo presi in un mondo d’allucinazione, ed incomincia a insinuarsi nell’animo nostro un indefinibile senso d’inquietudine. Cadmo e Tiresia, vegliardi, appaiono in veste di baccanti, pronti alla danza. Il presunto ciurmadore, Diòniso, che neanche le Baccanti sue seguaci conoscono per Dio, giunge avvinto di catene, e ride: rideva anche nel momento che lo fecero prigione. Quando Penteo lo fa trascinare nelle stalle, e legare, l’ordine naturale si sommuove: dalla tomba di Semele si levano altissime fiamme, la terra traballa, la reggia di Penteo arde e crolla. Giunge dal Citerone il pastore, e narra i prodigi delle baccanti. Penteo s’induce a vestirsi da donna, allucina, e crede scorgere due soli, e Diòniso tramutato in toro: l’allucinazione diviene follia, e i suoi discorsi d’ora in poi son privi di senso. Quando sono tra i monti, Diòniso ghermisce l’altissima vetta d’un abete, e la flette al suolo. All’urlo eccitatore del Nume, le belve, le foglie, i venti, tacciono, e una luce soprannaturale arde tutto l’ètere. Agave compare recando infitta sul tirso la testa del figlio, e giubila.

E segue la meravigliosa scena fra Agave e Cadmo. È un vero e proprio esorcismo. Cadmo impone alla figliuola di fissar lo sguardo nell’ètere, per immergerla in una specie di ca-