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con cui Diòniso gli annunzia che morrà per mano di sua madre. E quando Agave, tornata alla ragione, riconosce la testa recisa del figlio, ed esclama:

Che colpa avea di mia follia Pentèo?,

noi sentiamo, anche una volta, che il nostro cuore vibra con lei.

Ed anche Pentèo aveva, in fondo, la sua colpa. Ma Cadmo? Cadmo, il misero vecchio che s’era spontaneamente indotto a vestirsi da baccante e a seguire il Nume? Egli sarà tramutato in drago, e sua moglie in serpe; e dovranno, oramai cadenti, andare esuli in terre straniere. Perfino il Coro, che a proposito di Pentèo sa mostrarsi non meno spietato di Diòniso, osserva quanto sia stato ingiusto punirlo:

Cadmo, di te mi duol. Giusta la pena
fu pel nipote tuo, ma per te dura.

E Diòniso stesso deve, in certo modo, riconoscer l’eccesso della sua crudeltà, e cerca di scusarsene:

Di Giove è quanto avvien decreto antico.

Ora, crederemo che coscientemente, deliberatamente, Euripide abbia formato giudizio cosí diverso dal nostro, abbia violata una legge di giustizia che pure nella sua mente speculatrice, nel suo sentimento fine e moderno, doveva aver radici profonde?

Non credo. Euripide, come diremo súbito, ha voluto in questo dramma far fede d’ortodossia concettuale ed artistica. E cosí, ha preso il mito quale glie l’offriva la tradizione. Questa narrava che Agave compie’ lo scempio orribile, Pentèo lo patí, Cadmo fu tramutato in drago e andò esule con la