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LE BACCANTI 15

qui inventato alcuno di quegli intrighi, alcuna di quelle macchine che gli venivano tanto aspramente rinfacciate dai poeti comici. Tutta la tragedia è, da cima a fondo, un contrasto fra Diòniso e Penteo, e nulla viene a turbare questa linea possente e diritta.

E l’impressione di unità è accresciuta anche dal poco sviluppo e la poca individualizzazione dei caratteri. Questi sono enormemente semplificati. Le persone sono considerate solo per quanto sono o seguaci di Diòniso o sue nemiche. Ecco le due uniche molle. Altri sentimenti non hanno luogo. L’amore, che tanta parte aveva negli altri drammi d’Euripide, è qui sparito, e contro le Baccanti cade spuntata la rampogna che nelle Rane Eschilo muove al suo rivale, d’introdurre nei drammi troppe femmine. Perfino Agave compare solo all’ultimo momento; e nessuna scena anteriore effettua la preparazione patetica del finale, che però scoppia tanto piú terribile e raccapricciante.

Questa intensità e questa concentrazione spiegano solo in parte la straordinaria tragicità delle Baccanti. C’è forse altro.

Un lettore moderno non può non sentirsi offeso da molti luoghi di questa tragedia. Diòniso, il Dio verso cui evidentemente è rivolta la simpatia del poeta, a tratti riesce quasi odioso. La sua ferocia nel vendicarsi passa ogni limite. Quando Agave lo ammonisce:

Rancor mortale ai Numi non s’addice,

il nostro sentimento è d’accordo con la sciagurata.

Ad ogni modo, Agave era macchiata di grave colpa, aveva calunniata Semele. Ma Penteo? Si oppone fieramente al Dio; ma la onnipotenza di questo rende vana e quasi puerile la sua opposizione. Onde tanto piú atroce sembra lo scempio del misero, tanto piú crudeli le allusioni sarcastiche