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10 EURIPIDE


Olimpî, lo sguardo volgete al mio coro,
e l’inclito vostro favore largitemi, o Numi,
che della città popolosa,
d’Atene la sacra nel cuore,
tra fumi di vittime
movete, e per l’agora adorna gradite la messe
primaverile di mammole strette in ghirlande;
e a me rivolgete lo sguardo, che giungo
fulgente d’un raggio del Nume,
a dire, secondo nei cantici, il Dio cinto d’ellera,
cui gli uomini chiamano Bromio.
Io venni a cantar la progenie
di padri, di madri cadmèe.
Ché celebra il vate le feste,
quando, schiudendosi il talamo dell’Ore dai pepli di porpora,
la primavera fragrante schiude i nettarei calici.
Allora si lanciano fiori,
allor su l’ambrosïa terra
di mammole amabili petali s’intrecciano, e rose alle chiome.
Cantate, levando la voce tra i flauti,
o cori, cantate Semèle velata di serti.

E dopo questo, e prima della tragedia, non ci rimane piú nulla. I ditirambi? Fra le composizioni di Bacchilide, scoperte una quindicina d’anni fa, alcune erano designate nel papiro col nome di ditirambi. Ma una di esse, la piú bella, Teseo e i giovani, è conclusa da un’invocazione ad Apollo, e dunque sarà, piú probabilmente, un peana. Nelle altre, nulla che accenni ad influsso dionisiaco.

Anche i poeti tragici, naturalmente, s’erano occupati molto