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A ciò contribuí anche un altro fatto. Allorché Diòniso giunse sul suolo greco, lo trovò occupato da fitte schiere di demonietti burleschi, Cabíri, Satiri, Silèni, che avevano comuni con lui, sebbene in diversa misura e diversa tempra, alcuni caratteri: la vinolenza, la salacia, la passione per la vita libera agreste. L’affinità strinse invasori e invasi. Questi divennero ministri di quello, e gli appiccarono un po’ del loro carattere burlesco. La simpatia del popolino non poteva che accrescersi. Diòniso e il suo numeroso variopinto corteggio divennero popolarissimi, e si volle non solo udir le loro gesta, ma anche vederle rappresentate. Sorse cosí la prima tragedia, che, dunque, avendo come coro obbligato il petulante stuolo dei satiri pronti al commento buffonesco e salace, dove’ rivestir carattere semiburlesco. Ma a mano a mano crebbe il desiderio di veder gittare nella nuova attraente forma drammatica l’antico prezioso metallo dell’epica. I satiri cominciarono a sentircisi a disagio, ed infine esularono. Diòniso non li abbandonò. Re, di nome, d’ogni forma di composizione drammatica, rimase di fatto signore del dramma satiresco e della commedia.

Onde nella fantasia del popolino prevalse a mano a mano la figura di un Diòniso godereccio e carnascialesco, che, col non meno prediletto Ercole, divenne poi ospite abituale delle scene comiche, per trasformarsi, quale ci appare tuttora nelle Rane, in perfettissimo pulcinella, pancione, ghiotto, furbo, svelto di lingua e vigliacco per l’anima. Né si creda che tutti i Numi fossero così ridotti dalla commedia. Gli altri, ad eccezione d’Ermète, che aveva in sé molti elementi di comicità, attraversando la commedia, vengono anch’essi illuminati da un riflesso burlesco; ma buffonate non ne dicono. Si pensi, per esempio, all’Iride e al Posídone degli Uccelli d’Aristofane.