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La figura di Diòniso, quale si librava alla fantasia d’un Greco dell’età classica, è molto complessa: risulta di varie persone fuse insieme, e non cosí bene che non ne siano ancor visibili le giunture.

Prima e fondamentale, una divinità tracia dell’ebbrezza. D’un ebbrezza non volgare, né, forse, in origine, connessa col vino, ma autogena e trascendente. Questa divinità s’incarnava in un giovine bellissimo, vestito mollemente, coronato d’ellera, impugnante una ferula coronata di fiamma. Lo segue uno stuolo di Mènadi, giovani donne che errano con lui per i monti e per i liberi campi, danzando, folleggiando, cacciando fiere, compiendo opere prodigiose. E migrano insieme, thíaso gioioso, dalla Tracia, dalla Lidia, e dalla Frigia natale, alla terra ellènica, dove, debellati alcuni vani tentativi d’opposizione, riescono ad imporre i riti loro meravigliosi. Anzi Diòniso è súbito assunto ad una dignità dalla quale furono esclusi quasi tutti i Numi d’Olimpo: viene accolto nei misterî.

I misterî rispondevano ad un profondo bisogno dello spirito umano. La religione ufficiale, quella, su per giú, dei poemi omerici, non offriva, in fondo, alcuna risposta agli eterni pro-