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LXVI EURIPIDE

al nulla, nella quale tutto è illusorio, tranne la miseria e il dolore.

Ma queste conclusioni, a cui, del resto, facilmente conduce il freddo raziocinio, non possono essere definitive per un grande spirito.

E, innanzi tutto, l’orrore, che sembra il fondamento della vita, non è fondamentale, come sembra. Sta alle radici della vita, sotto le apparenze; ma come il fango sta sotto le acque, che alla superficie sono limpide, e rispecchiano la luce dell’ètere. E dal grembo del fango emerge la ninfea che culla sul piano dell’onde la sua corolla immacolata. È forse piú fondamentale il fango della corolla?

Tutto il male del mondo non vale a distruggere gli esempii, che tuttavia esistono, di nobiltà, di eroismo, di virtú, di magnanimità. Essi rimangono pur sempre fonte di perenne ispirazione al poeta. Euripide potrà stigmatizzare — forse — la magalda Pasifae; ma si china adorando dinanzi alla figura della vergine eroica, della sposa sublime.

E poi, sopra il bene e sopra il male c’è sempre, nell’universo, il velo magico della bellezza, che sfolgora dagli occhi di Fedra come dagli occhi di Alcesti. Quando essa fulge, il poeta dimentica tutto, e la segue inebriato.

Questa adorazione della giustizia, della bontà, della bellezza, all’infuori d’ogni superstizione e d’ogni convenzione, diviene in lui lievito di creazione.

E l’opera cresce. Ma accanto al germe di fervida creazione artistica, anelante a effondersi in nuvole di freschissime fronde, a schiudere verso il cielo l’azzima pupilla delle luminose corolle, persiste l’altro, di fredda critica, infuso della morbida letale tenacia delle erbe parassite. Sbocciano entrambi, si levano, lussureggiano con egual forza, complicano in mille intrecci le loro propaggini. Accanto alla foglia fragrante è la bràttea viscosa: accanto al nettario rorido di pol-