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LXII | EURIPIDE |
avevano le donne: derivava dal fàscino femminile, assunto come ispirazione, di fronte alla tendenza misogina, o per lo meno non troppo sensibile alla donna, che trova l’espressione nel mito d’Orfeo lacerato dalle donne di Tracia. Di fronte ad Orfeo, che, secondo l’espressione dell’elegiaco Fanocle, «non pregiò le donne», si leverà Diòniso, il γυναιχομανής, il «folle per le donne». Euripide è suo discepolo. E la palinodia religiosa rimane un po’ in margine.
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Se torniamo ora a considerare i varii punti della nostra ricerca, li vediamo sboccare tutti in responsi negativi. Si aggiungano poi gli altri difetti, tante volte ricordati, della drammaturgia d’Euripide; e sempre piú ci sembrerà enigmatico il fatto che, in complesso, di fronte all’opera dei suoi due grandi predecessori, per tanti aspetti piú omogenea e perfetta, la sua non ci sembra minore, e, anzi, quasi ci affascina di piú.
E ciò non avviene solo per l’eccellenza assoluta che egli raggiunge in certi elementi — per esempio nel patetico — bensí anche, e, anche qui, con un apparente paradosso, per il suo carattere fortemente subiettivo.
Intendiamo bene. Non è che questo carattere subiettivo manchi nell’opera di Sofocle e di Eschilo. L’obiettivismo assoluto è anch’esso una bella favola: ogni vero poeta lascia in ogni sua parola tracce del suo spirito: tutto sta a saperle interpretare (vedi prefazione all’Odissea).
Ma tracce involontarie. Né Sofocle né Eschilo hanno inteso di intromettersi nello spirito dei loro personaggi. Anzi, divenuti loro succubi, confondono con la loro la propria personalità, la confondono, via via, con ciascuno di essi.
Euripide, invece, interviene largamente, violentemente, in ciascuna delle sue figure, addoppiando la propria anima alla