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PREFAZIONE | LXI |
serpe’ d’intorno l’ellera
coi tralci verdeggianti,
di mille ombre beandolo;
onde or lanciano donne ebbre Baccanti,
e tebane fanciulle a danza il pie’.
O, nella Ifigenia in Tauride, Latona che abbandona Delo e perviene ai vertici del Parnaso,
ov’è frastuono bacchico perenne;
o, nello Ione, la pittura della roccia parnasia,
dove Bacco che leva le scintillanti fiaccole,
lancia con le nottívaghe Baccanti a danza il piede.
Oppure, passando al dramma satiresco, la deliziosa pittura che fa il coro, nella pàrodos, della vita dionisiaca; che per immediata freschezza trova solo riscontro in certi brani di Caliban nella Tempesta.
Fuochi fatui, dissi, aleggianti su quasi tutti i drammi. O, forse, lampadoforia, che, con una vicenda di fiamme, via via piú brillanti, arriva ne Le Baccanti, ad una conflagrazione di ardore quasi eschileo.
Ne Le Baccanti, alle mirabili figurazioni si uniscono esplicite e ardenti dichiarazioni che dalla religione dionisiaca si estendono a tutta la religione. Ma in sostanza, come ho detto, è credo dionisiaco. E credo d’artista, pensatore, indipendente. Il quale, nel corso di una lunga vita, dedita alla meditazione filosofica e alla pratica artistica, impara via via a conoscere e valutar sempre meglio l’onnipossente virtú dell’istinto. Nume vero della religione e dei riti dionisiaci.
Ma è chiaro, innanzi tutto, che il fàscino principale dei riti dionisiaci derivava, per Euripide, dalla parte che in essi