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LVI EURIPIDE


Lo Ione (414) è forse il modello piú perfetto di dramma romantico. Il mito è un pretesto, e l’azione è essenzialmente inventata dal poeta. E sviluppata a intreccio, e l’intreccio condotto con somma abilità. I personaggi, interamente liberati dalla solennità mitica, sono da dramma borghese, e, qua e là, da commedia. Mentre l’abbondanza della musica in sedi non tradizionali e non legittime, e il piú largo impiego di monodie, fanno, qui piú che in ogni altro dramma, pensare al melodramma.

Ed ecco un nuovo tipo nell’Elena (412). L’intreccio è quello medesimo della Ifigenia in Tauride, ma tanto svolto e curato quanto lí rimaneva in germe e sommario. Qui è in pieno trionfo; e dinanzi ad esso perdono valore i caratteri, ai quali il poeta sembra quasi rinunciare. La parodia che appare qua e là in molti drammi, qui, sia pure involontaria, dilaga. Seguendo un impulso già mosso nell’Oreste, insieme col decadere di altri elementi di dignità e altezza tragica, si unisce, quasi a contrasto, un ascendere della parte lirico-musicale, che nell’Elena è tra le piú aeree, colorite, ispirate. Sembra che l’interesse artistico vada sempre piú trasferendosi dalla poesia alla musica. Melodramma. E poiché nella singolare atmosfera creata dalla musica l’irreale sembra acquistar quasi maggiori diritti del verisimile, melodramma-fiaba. Che è forse piú legittimo del melodramma a soggetto piú o meno verista.

A questo punto, vediamo un singolare ritorno del poeta. Un ritorno, di cui erano già stati sintomi e antesignani Le Supplici e Le Troadi, al dramma tradizionale.

Ed anche questo ritorno è tutt’altro che lineare ed omogeneo. Ché anche gli ultimi tre drammi, pure accomunati da questa palese nostalgia, sono differentissimi l’uno dall’altro.

Nelle Fenicie (406), un addensamento, una pletora di episodii, come non ne abbiamo esempio, neanche approssimativo, in tutta la drammaturgia greca. Tutta la materia, rievocata,