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PREFAZIONE LIII


concentrare tutte le forze creatrici nel dipingere la figura di Medea, sottratta al Fato, artefice libera della sua sorte. E arriva al barbaro scempio attraverso una lotta d’animo e a un perenne ricorso e fluttuare di decisioni, che formano il vero argomento del dramma. È il primo studio di carattere nel senso moderno.

Anche piú nella scia della tradizione è l’Ippolito (428). Il migliore omaggio, forse, d’Euripide, alla Musa tragica del passato. Vero modello d’equilibrio, con tre caratteri quasi ugualmente salienti e ben tratteggiati, con giusta proporzione della materia, e perfetta distribuzione di luci e d’ombre. Una piccola novità formale si trova nel coretto che ad Artemide intonano Ippolito e i suoi compagni. Era la prima volta, almeno per quanto sappiamo, di un coro su la scena e non già nell’orchestra.

Piú singolari sono Le Supplici (424). In questo dramma mancano alcune delle note caratteristiche della drammaturgia euripidea. Manca lo studio dei caratteri, manca l’intreccio; e l’azione, lineare, consta di due quadri. Nel complesso, è una grande composizione corale, protagonista il coro delle supplici; e gli altri elementi in sua funzione, e subordinati. Insomma, un dramma eschileo, ed eschileo della prima maniera.

Una concezione simile sembra che balenasse al poeta anche nell’Ecuba, che appartiene, su per giú, allo stesso periodo (poco dopo il 424). Se non che, la concezione originaria appare sviata; e il poeta inventa l’episodio di Polidoro e Polimestore, e lo svolge nelle forme d’un intreccio: la famosa mechané, che qui appare la prima volta, in forma ben definita, nei superstiti drammi d’Euripide.

Nell’Ercole (424), c’è il tentativo, nuovo e geniale, di riunire sotto il medesimo fuoco avvenimenti disparati e remoti. A questa novità di composizione non corrisponde la novità degli elementi di composizione, che sono anzi, in genere, vieti