Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
XLVIII | EURIPIDE |
con marino estuar, contro la spiaggia,
ov’era la quadriga; e col medesimo
turbine, e con la furia orrida, al lido
scaraventò, fiero prodigio, un toro,
del cui muggito risuonò pervasa
la terra tutta.
Questa precisione di linea è talora spinta sino alla geometria. Cosí, per rimanere ne Le Baccanti, quando Diòniso curva l’albero su cui porrà Pentèo:
ghermita d’un abete
la somma vetta che toccava il cielo,
la trasse giú giú giú, sino alla terra
negra, simile a un arco, o ad una curva
che volubil compasso in giro incida.
E nello Ione, alla geometria si aggiunge l’aritmetica. Il giovine ierodulo:
la misura
prese d’un plettro, a forma di rettangolo;
cosí che l’area, per usare il termine
degli architetti, era di cento piedi.
Fine è anche la sensibilità ai colori. Ecco, nell' Elena «il glauco estuar del mare, e i flutti candidi (dalla pelle) di ciano».
E nella Ifigenia in Tauríde, «il dragone color vino, dal dorso maculato, nell’ombra (pari ad una corazza bronzea) di un lauro dalle fitte foglie». Cerchiamo di realizzarne la visione; è un effetto portentoso. Nel testo c’è proprio la magia di certe opacissime ombre di Rembrandt, quasi monocrone a