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PREFAZIONE XXXIX


                    Entrate or nella casa,
                    entrate, affin ch’edotte
                    siate delle mie lotte.

Or tutti intendono quanto stiano a posto le note per un tale dilemma, per un tale invito. Insomma, comincia qui il controsenso artistico, tanto pernicioso al melodramma, per cui vengono sollevati nel cielo alto della musica brani incapaci di levarsi a quell’altezza. Paperi sollevati dalle grinfie dell’aquila, che empiono l’ètere azzurro di gracidii e starnazzii grotteschi e molesti.

E mentre la musica tenta da un lato questa impossibile esaltazione, dall’altra procede alla fatal depressione della poesia, espressione integrale dei sentimenti per mezzo della parola. Bandita dalle sedi musicate, tende a indebolirsi, per simpatia, anche nelle altre sedi. Lo vediamo assai chiaramente in molti degli ultimi drammi d’Euripide. Sinché il poeta, conscio, certo, di questa diminuzione, nell’ultima fase della sua opera, come il nuotatore già presso a sprofondare, con un vigoroso colpo di tallone torna ad emergere all’aria e alla luce.

Si domanderà qui, fra parentesi, come mai il pubblico di Atene, che tutti propendiamo a figurarci di gusto sicuro e squisito, non si accorgesse di questo palese declinare dell’arte.

Ma, anche lasciando stare che certe sentenze, come, per esempio, quella che condannò Le Nuvole, non sembrano adatte a comprovare tale sicurezza di giudizio; e che i drammaturghi del tempo non ci credettero mai: si risponde facilmente che il pubblico, per quanto fine e cosciente, è pur sempre pubblico, cioè proclive ad entusiasmarsi piú per la brillante superficialità che non per le profonde essenze. Quelle monodie che dal lato poetico sembrano scarse, erano certo rivestite di melodie affascinanti; e, soprattutto, nuove, perché, come sappiamo, Euripide era vago di novità, e seguace del famoso innovatore Ti-