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XXXVIII | EURIPIDE |
E le impose in due maniere, una piú funesta dell’altra.
Prima, inducendo il poeta a comporre le parole, non come dettava il sentimento letterario, che avrebbe dovuto essere l’arbitro supremo; ma come esigevano leggi o magari capricci della melodia. Indice cospicuo, le frequentissime ripetizioni di parole, e talora di sillabe, che troviamo nel testo delle melodie. Aristofane ne fa una gustosissima parodia ne Le Rane:
Ed ei per l’ôra
lanciossi a volo a volo,
lasciommi al duolo al duolo,
e pianto perenne perenne
stillan, tapina, i miei cigli, i miei cigli.
Di queste ripetizioni abbondano tutte le monodie degli ultimi drammi d'Euripide. E dobbiamo dire che alcune volte sembra quasi di leggere parodie aristofanesche.
Seconda linea di sviamento: la musica, contando su la propria efficacia, induceva a dar l’ali delle note a brani che assolutamente non tolleravano musicazione.
Nella Ifigenia in Tauride, l’eroina propone un dilemma, e lo propone in musica:
La via di terra piú che il naviglio
conviene, o l’impeto, forse dei pié?
Ed anche in musica, Elena, nel dramma che da lei prende nome, rivolge alle donne del coro il seguente invito:
O amiche, persuasa
fui dal vostro consiglio.