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PREFAZIONE XXXV

tipoda ai principi della drammaturgia di Sofocle, che quando questo tumultuare di sentimenti e di passioni sia giunto al suo apice, deve trovare la sua piena espressione nel canto. Principio che, naturalmente, non riesce affermato solamente nelle monodie, bensí anche nei duetti, nei terzetti, insomma, tutte le volte che la musica invade le sedi drammatiche, serbate in origine alla parola non accompagnata dal canto. E che trova una delle sue piú complete affermazioni ne Le Troadi. Qui la pàrodos è mutata in maniera che in essa, a sostituire la materia tradizionale, trova posto una monodia strofica d’Ecuba (122-152) e un duetto lirico fra lei e il coro (153-229). E duetto lirico è quello che segue, fra Ecuba e Taltibio (238-277), concluso da una breve monodia d’Ecuba (278-292). Segue una lunga monodia strofica di Cassandra (508-540), un duetto, prettamente lirico, fra Ecuba e Andromaca (577-603), un altro duetto lirico fra Ecuba e il coro (1287-1332).

Se a questi si aggiungono i due gruppi anapestici 99-121 o 777-793, che furono certo, cantati, si arriva alla cifra tonda di 300.

Ma ai versi cantati in sede drammatica, bisogna aggiungere quelli che, per essere cantati nelle lor sedi legittime, corali, non cessavano d’essere canto e musica. Questi versi salgono a 186. Sicché, in complesso, contro 864 versi semplicemente recitati, ce n’erano 468 cantati.

E se poi si pensa che i versi lirici quali ora noi li possediamo non sono che nudi schemi di una complessa melodia, nella quale molte sillabe venivano prolungate, e fra le varie frasi intercedevano pause, e il tutto era eseguito coi movimenti musicali, in genere piú prolungati di quelli della mèra recitazione, e fra i periodi spesso dovevano inserirsi echi melodici e ritornelli orchestrali (un esempio ne abbiamo già nel brevissimo frammento dell’Oreste), ne risulta che la parte affidata alla musica pareggiava quella affidata alla parola, se pur non