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XXXIV | EURIPIDE |
La grande invasione musicale ebbe luogo con Euripide.
Ma, anche in lui, non di colpo. Anche Euripide, sebbene tanto vago di novità quanto Sofocle era conservatore, appartiene alla famiglia dei grandi artisti greci, i quali effettuano i progressi nella loro arte molto lentamente e per gradi congiunti.
Il gruppo piú antico dei suoi lavori, Medea (431), Ippolito (428), e Supplici (424), non esce sostanzialmente dal tipo sofocleo, per quanto il coretto su la scena dell’Ippolito (58-72), e due brani, uno di Fedra (672-679), ed uno d’Ippolito (1348-1388), già accennino ad una orientazione verso lo straripare monòdico.
Tendenza confermata nella scena d’Evadne de Le Supplici, in cui l’eroina canta due vere monodie. Però, monodie strofiche. E il ricorso strofico introduce una esigenza di ripetizione, e, dunque, d’ornamentazione e di danza; e in questo senso già era monodia quella di Io nel Prometeo.
Una vera novità comincia ad affermarsi nell’Ecuba (dopo il 424). La pàrodos, iniziata come duetto anapestico fra Ecuba e il coro, finisce in duetto fra due personaggi, Ecuba e Polissena: il kommós, è divenuto vero e proprio duetto lirico.
Ma specialmente caratteristica è l’uscita di Polimèstore, che, acciecato da Ecuba, sfoga il suo dolore in una lunga monodia. E non piú strofica, bensí libera; e senza le battute del coro, che interpungono l’ultima uscita del protagonista nell’Edipo, che forse precede di qualche anno l’Ecuba, e, che, tutto sommato, tenevano impigliata la monodia nella rete del kommós. Qui abbiamo la monodia interamente libera, che può riflettere con piena docilità il vario tumultuare dei sentimenti e delle passioni che invadono l’animo d’un personaggio. Un simile canto è affidato ad Ercole, nelle Trachinie; ma Le Trachinie sembrano certo posteriori all’Ecuba.
Ma soprattutto è importante l’implicita affermazione, an-