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XXXII | EURIPIDE |
Allo stàsimo seguiva un nuovo episodio, e cosí via, alternandosi. Il numero degli stasimi rimase in genere di quattro.
Modello piú puro e perfetto di questo dramma arcaico sono Le Supplici di Eschilo.
Negli episodii, non tutto il coro interloquiva col personaggio o coi personaggi della scena; bensí il solo corifeo. E, secondo ogni verisimiglianza, passando cosí dall’ufficio lirico all’ufficio drammatico, adottava anch’egli la recitazione, non cantata, degli attori. Ciò appare anche dai metri. Nel primo episodio de Le Supplici, nel duetto con Danao, che poi, arrivato il re, diviene terzetto, il corifeo parla in trimetri. E nel primo episodio de I Persiani (il piú antico dramma pervenuto d’Eschilo dopo Le Supplici), nel duetto con Atossa, parla, come la regina, in tetrametri trocaici.
Ma il coro era pure sempre il «veicolo» — diciamolo alla tedesca — della parte lirica, cantata. E cosí, avvenne presto che in questi suoi dialoghi con gli attori della scena abbandonasse spesso i metri della recitazione, per passare ai metri lirici, al canto. Chiaramente lo vediamo nell’episodio già ricordato de Le Supplici.
Queste parti, mescolate cosí di recitazione e di canto, fra attori e coro, ebbero dagli antichi il nome di kommói (lamentazioni: forse perché in origine si verificarono nell’ultima parte della tragedia, quando, avvenuta la catastrofe, il coro innalzava i suoi lamenti).
Insinuatosi cosí il canto nelle sedi della recitazione, avvennero due fatti. Primo, che anche gli attori, per attrazione, qualche volta adottarono i metri lirici, cantarono: secondo che, capovolgendosi le parti, essi cantarono, e il coro recitò. Cosí avveniva, almeno a giudicar dai metri, nel kommós dell’Agamennone, dove Cassandra canta, e il coro insiste nei suoi trimetri per un lunghissimo tratto (1069-1119), per essere travolto solo in fine, anch’esso, nel vortice della melodia.