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XXX EURIPIDE


Un indice di questa minor sicurezza creativa è poi da raccogliere in un fatto singolare; che alcuni personaggi d’Euripide, che appaiono in piú drammi, non mantengono inalterato, passando dall’uno all’altro, il loro carattere.

Un fatto simile non trova riscontro in veruno dei grandi drammaturghi e romanzieri. Per questi, lo abbiamo detto, i personaggi concepiti prendono sostanza di vita, con tutte le attribuzioni delle vive creature umane; fra le quali, principalissima, che il fondo psicologico non si àltera. Non troviamo mutato d’un’oncia Falstaff, se da Le allegre comari passiamo agli Enrichi: non troviamo mutato alcun personaggio di Balzac, nei suoi numerosi passaggi da romanzo a romanzo, anche se debba farvi una fuggevolissima comparsa. Rimangono sempre quello che sono perché «sono».

Guardiamo invece il Menelao di Euripide. Ne Le Troadi, è un marito melenso abulico e sensuale. Nella Ifigenia in Aulide è un po’ odioso da principio, quando insiste perché sia sacrificata l’innocente fanciulla; ma presto si ravvede, e diviene quasi simpatico. In fondo — dobbiamo concludere — non era poi tanto cattivo. Ma nell’Andromaca, eccolo diventato il piú odioso fra i personaggi odiosi di Euripide — e sono tanti. — Ma se poi leggiamo l’Elena, lo troviamo divenuto campione di virtú e d’eroismo.

E su per giú le stesse osservazioni dobbiamo ripetere, se esaminiamo Elena ne Le Troadi, nell’Elettro e nell’Elena. E analoghe contraddizioni, sebbene non cosí stridenti, possiamo trovare anche in altre figure d’Euripide.

Ora, tutto ciò significa che per Euripide i personaggi sono un po’ fantocci, che egli fa manovrare come piú gli conviene, fulcri di sue esperienze e riflessioni psicologiche ed etiche, pezzi mobili nella scacchiera d’un intreccio sce-