Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
XXVIII | EURIPIDE |
forme ed iniziale, nei doppioni della vergine che va spontanea al sacrificio (Ifigenia, Macaria ne Gli Eraclidi; e con loro va anche, sebbene uomo, il Menecèo de Le Fenicie); o del vegliardo che fa una lunga lamentazione sul cadavere del nipote o del figlio: Ifi su Evadne, ne Le Fenicie, Cadmo su Pentèo, ne Le Baccanti e l’Ecuba de Le Troadi, gemente sul nipote Astianatte.
Ed anche un terzo processo contribuisce alla formazione dei personaggi d’Euripide. Movendo dal postulato, sottinteso, se anche non espresso, che l’animo umano sia sempre e dappertutto il medesimo, il poeta, per dipingere i suoi eroi, attinge a piene mani dalla vita contemporanea. E spesso e volentieri fa ragionare ed esprimersi gli eroi dall’antichità remotissima come i vivi e verdi suoi concittadini.
Ora, se questa riduzione a comun denominatore delle psicologie d’ogni tempo e d’ogni razza è, in linea generale, sempre assai discutibile, nel caso speciale difficilmente si potrebbe trovare un contrasto piú stridente di quello che intercedeva fra i lupi Achei e i sottili e cavillosi Ateniesi contemporanei di Euripide. Ma qui non importa tanto questo rilievo, quanto il fatto che questo travestimento psicologico accresce sempre piú il carattere ibrido, già rilevato, dei personaggi d’Euripide, e disorienta chi li esamini senza propedeutica critica.
Aggiungiamo l’altro fatto, tante volte rilevato, e che d’altronde salta agli occhi, che spessissimo Euripide entra nelle vesti dei suoi personaggi, per esprimere, senza riguardo ad anacronismi o a contraddizioni, proprii sentimenti e proprii concetti; e sempre piú si accrescerà in noi l’impressione che il suo teatro sia come un vasto campo di ricerche psicologiche applicate all’arte drammatica.
E in questo atteggiamento, di continua ricerca e di critica, è da ravvisare una delle debolezze del teatro d’Euripide, almeno riguardo alla creazione dei caratteri.