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XXVI EURIPIDE


Esempio tipico, Capanèo: che la tradizione concorde figurava empio, tracotante, superbo verso gli uomini e i Numi; e invece, ne Le Supplici, Adrasto lo dipinge modello di ogni umana perfezione.

E accanto a Capanèo, si può ricordare l’Elena protagonista del dramma che s’intitola dal suo nome. Vero che Stesicoro l’aveva già scagionata. Ma la sua palinodia era reputata pur sempre una bizzarria, e non aveva scalzata l’opinione tradizionale. E poi, Euripide passa ogni limite, facendo della bellissima adultera il prototipo di ogni virtú femminile.

E forse può venir terza Clitemnestra, che tanto nella Ifigenia in Aulide, quanto nell’Elettra, non è affatto il mostro di Eschilo e Sofocle, anzi nella Elettra appare piena d’umanità e di tolleranza, e riesce quasi piú simpatica della figliuola.

L’altro processo consiste nel riprendere piú volte lo stesso carattere, atteggiandolo in guisa da farlo divenire quasi un tipo.

Vengono alla mente, in primo luogo, certi personaggi che alla bassezza del sentimento, che esclude qualsiasi carattere eroico, accoppiano ferocia disumana, da iene: mostri che appena possiamo figurarci in forma umana.

Lico, per esempio, nell’Ercole. Deprezza malignamente e sofisticamente le imprese d’Alcide, e dichiara codardo e pronto alla fuga l’eroe incomparabile. Proclama prudenza la propria infame decisione d’ucciderne i figli bambini. Quando Anfitrione e la vecchia Megara rifiutano di allontanarsi dall’ara dove hanno cercato rifugio, ordina di circondarli con cataste di legna, e arderli vivi. E quando Anfitrione rifiuta di andare a prendere Megara e i fanciulli, per non rendersi complice, sia pure involontario, del loro martirio, proclama:

io stesso andrò, se nutri questi scrupoli:
io non l’ho, certe ubbíe.