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XXIV | EURIPIDE |
per contrasto, a dipingere con colori piú simpatici gli umili, che pure avevano compiuti atti onesti, e spesso grandi, e che la leggenda, creata, in sostanza, ad uso dei potenti, aveva superbamente ignorati.
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Comunque si voglia caratterizzare il primo impulso che spinse Euripide a questa revisione del mito, o generica passione critica, o passione per la ricerca psicologica, certo è che nella pratica artistica esso si convertí in continuo esercizio di analisi psicologica. E perciò, non esiste, si può dire, personaggio euripideo che non susciti il nostro interesse.
Se non che, il mito cosí interpretato e ricondotto sotto una luce puramente umana, diveniva materia meno adatta alla tragedia. I due grandi tragici predecessori d’Euripide, accettando integralmente la tradizione, avevano, per intuizione, proceduto in maniera da giustificarla, creando, specialmente Eschilo, un mondo in cui tutto fosse gigantesco, sovrumano, irreale; in guisa che sembrasse senz’altro impossibile applicare ad esso le leggi della morale umana. Sicché, dal lato storico, il loro dramma poteva essere criticato; ma dal lato artistico presentava un equilibrio, una omogeneità perfetta. E questo importava.
Ridotte, invece, alle proporzioni umane, quelle figure non avevano piú la capacità di sostenere il peso della tragedia. La loro anima, di tempra comune, non può reggere alla pressione di psicologie d’eccezione. Tra loro e l’essenza tragica esiste una incompatibilità che nessun espediente varrebbe a risolvere.
Ed è questo uno dei punti per cui dal lato artistico scàpita di fronte ai drammi di Eschilo e di Sofocle il dramma d’Euripide, che pure ci ammalia per tanti altri dei suoi molteplici aspetti.