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XXII | EURIPIDE |
Alcesti; ma quando Oreste insinua che egli possa essersi condotto cosí nobilmente pei timore della sua vendetta, Elettra risponde che questo può essere, ma che il bovaro suo presunto sposo agisce per probità, perchè:
povero è sí, ma generoso e pio.
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Come nella rappresentazione dei Numi, s’è voluto scorgere un segno d’irreligiosità e d’empietà, cosí da questo singolare trattamento delle figure di umili, piú d’uno ha derivata la conclusione che Euripide volesse far professione di democrazia a oltranza, quasi di demagogia.
Ma, in realtà, a guardar bene, in Euripide non c’è né l’una né l’altra di queste due tendenze. E la sua speciale maniera di rappresentare Numi eroi e personaggi umili non è che il risultato obiettivo della disanima che egli fa della materia del mito, prima di accingersi alla sua opera di drammaturgo.
Egli vede schierata dinanzi a sé una lunga serie di vicende, e di eroi che le hanno compiute. E accanto a ciascuna vicenda, la spiegazione e la valutazione. E le vicende, spesso incongrue, strane o grottesche; e le spiegazioni insoddisfacenti, e non di rado ridicole. E le valutazioni, quasi sempre contrastanti al piú elementare senso etico: sicché, le bricconate, le infamie, le ridicolaggini, erano giustificate, e, magari, esaltate, perché compiute da creature proclamate superiori alla umanità. E a chi protestasse, si rispondeva che quello era il volere dei Numi. I quali, poi, ad una fredda analisi, si dimostravano non meno rei degli eroi protetti o perseguitati.
Ma ad un occhio critico, la verità appariva presto ben chiara. Ne Le Troadi, Ecuba dice ad Elena: