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IONE 139

presentate nei bassorilievi delle mètope (non sembrerebbero soggetti da frontone): l’Idra di Lerna, Iolao ed Ercole, Perseo e le Chimere, Pàllade che abbatte Encèlado, Giove che folgora Mimante, Bacco che con la ferula stermina un altro gigante.

Questa pittura, cosí ricca, cosí minuta e precisa e cosí fresca, impressiona profondamente il nostro spirito. E dalla sua irradiazione tutte le vicende e tutte le persone del dramma derivano un continuo senso di poesia squisita e singolarissima. Poesia delfica, fu detto. E sia: ma anche sia sicuro il Grégoire che per sentirla non c’era proprio bisogno che il dramma fosse «ringiovanito dagli scavi francesi di Delfi».

Tale è dunque lo Ione. In un’azzurra fresca luce mattutina, fra le lusinghe d’una musica fiorita e di piacevoli danze, si muovono personaggi dipinti con tratti precisi, vivaci, arguti. Opera artistica, opera piacevole, e che senza dubbio dové sorprendere con la sua ricca amabile novità gli spettatori ateniesi.

Ma in linea di pura arte è viziata da un difetto che non mi sembra tanto leggero.

Perché da un lato è certo, e cento prove lo dimostrano, che qui il poeta non ha voluto avvicinarsi alla commedia, non ha voluto esilarare gli spettatori, bensí commuoverli con le patetiche vicende d’un eroe a loro singolarmente diletto, capostipite della loro razza. E intorno alla sua vaga figura gio-

    potevano vedere ad un tempo i due frontoni, è gramo razionalismo; oppure può essere che l’espressione δίδυμα πρόσωπα significhi le due ali del frontone.