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IONE 133


Ione. — Eri in te, oppure avvinazzato?

Xuto. — Ero vinto al piacer del vino.

Ione. — Ecco la congiuntura in cui fui generato.

Xuto. — Il destino lo volle, o figlio.

Pare dunque che Xuto ricordi di essersi ubbriacato, e non altro. Del resto, ripete come un’eco le parole del figlio. E questa sua buona grazia a lasciarsi persuadere gli merita senza contrasto un posto nella falange immortale che va da Menelao a Giorgio Dandin, a Boubourouche.

E il fatto che alla fine del dramma non appare piú, ed è messo da parte, come un perfetto pleonasmo, non giova certo a restaurare la sua dignità, tanto compromessa dalle precedenti vicende.

E veniamo all’aio di Creusa. Tipo di servo fedele, si dice per solito; ed è quanto dir nulla. Vediamolo un po' in azione.

Esso appare accompagnato e sostenuto da Creusa. È vecchio, è orbo, si trascina a stento. Eppure, appena apprende la storia del fanciullo riconosciuto come figlio da Xuto, si inalbera assai piú della sua stessa signora, e le impone la sua volontà, e prende egli le redini dell’azione.

E incomincia ad istigare Creusa con una stringentissima requisitoria contro il marito, che, giunto in Atene straniero, e sposata la figlia del re, adesso introdurrà nella reggia il figlio d’un’altra donna, farà che segga sul trono degli Erettídi il figlio d’una schiava. E, approvato pienamente dal coro, insiste e concreta: «Oramai, tu devi fare qualche atto degno d’una donna. O impugna una spada, o con qualche trama o con qualche veleno uccidi il tuo sposo ed il suo figlio. Io ti aiuterò, e ucciderò con te il giovine, nella sala dove si sta imbandendo il banchetto. Non importa se incontrerò la morte».

Il coro si associa anche una volta. E Creusa, nella piena