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PREFAZIONE XIX


Ma accanto a queste vere eroine, sia del bene, sia del male, ecco, non meno fitta, la schiera delle eroine decadute.

Ecco la Clitemnestra dell’Elettra. Bisogna raffrontarla alla tremenda viragine dell’Agamennone, per misurare l’abisso che intercede fra le due concezioni. L’eroina d’Eschilo non ha un momento d’esitazione: uccide lo sposo, e, dopo dieci anni, sarebbe pronta ad uccidere il figlio; e, perpetrato lo scempio del marito, affronta il popolo d’Argo, e discute con esso parola contro parola, facendo l’apologia del suo orrido misfatto.

La Clitemnestra d’Euripide, invece, si vergogna di mostrarsi in pubblico, e prova pietà per la miseria in cui è caduta la figlia, e nel contrasto con questa oppone dolcezza a durezza, e prova l’angoscia dei rimorsi. Infinitamente piú buona, e, senza dubbio, meno odiosa della eschilea; ma esce dalla sfera della tragicità, non è piú eroina.

E al suo stesso livello rimane, nella medesima tragedia, la figlia Elettra, che, terribile, in Eschilo, quanto la madre, e in Sofocle anche di piú, è qui convertita in borghesuccia abulica ed impulsiva (vedi prefazione).

E anche piú meschine l’Ermione dell’Andromaca, e la tenue sbiadita Teoclimeno dell’Elena e l’Elena quale ci appare ne Le Troadi, non direttamente portata su la scena, ma quasi piú viva nella pittura, ispirata dall’odio, che ne fa Ecuba. Ma in fronte ad una versione del teatro completo d’Euripide, è inutile moltiplicare gli esempi.

Ma nel complesso, e contro un’opinione tanto antica quanto falsa, le donne sono viste da Euripide con occhio assai piú benevolo che non gli uomini.