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quasi fossero occasionali e di poca importanza, e che invece mi sembrano capitali. E sono: primo, lo spirito critico, in lui tanto sviluppato, che, come vedemmo, lo spinge a rivedere le bucce al suo stesso Nume. E, prese le mosse da Apollo, estende il biasimo a tutti gli Dei.

Bella giustizia! Voi Numi sancite
le leggi pei mortali, e siete i primi
a vïolarle. Se doveste un giorno
(non sarà mai, ma pure, supponiamolo)
tu, Posídone, e tu, Giove, che reggi
il firmamento, rendere giustizia
dei soprusi d’amore a tutti gli uomini,
i vostri templi vuoti rimarrebbero
in poco d’ora. Ingiusti siete, quando
piú del vostro piacer che della cura dovuta
a noi, pensier vi date. Giusto
non sarà, no, chiamare tristi gli uomini
che quanto ai Numi sembra bello imítano,
bensí quei che ne sono a noi maestri.

Questo si chiama parlar chiaro. E viene un po’ da ridere, a rileggere, dopo questa tirata, l’elogio che tesse il Grégoire della «esatta pietà del giovine ierodulo, e della sua affezione tenera e gelosa pel Dio che lo nutre». Figuriamoci che direbbe se non possedesse queste due belle doti.

Il secondo carattere è lo scetticismo. Presente in tutto il corso del dramma, nell'ultimo duetto con Creusa giunge ad un apice grottesco. Già alla battuta di Creusa: «Cosí nel giro del decimo mese io nascostamente ti generai a Febo», Ione ha risposto, senza sbilanciarsi: «Bellissima notizia, se hai detta la verità». E quando poi le effusioni si sono esaurite, dinanzi