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rano e si cercano. Infine, si trovano, ma non si riconoscono; e le complicazioni degli eventi (la mechané) spinge la madre a cospirare contro la vita del figlio, che, scampato per miracolo, vuole a sua volta porre a morte la madre. Intreccio abilissimo. «Il piú complicato — dice il Patin — il piú vicino all'arte dei moderni che si sia finora incontrato nell’arte greca».

Ma l’intreccio è un elemento, e non il principale, della complessa costituzione d’un dramma. Veniamo alla parte essenziale, alla creazione dei personaggi.

Di Ermète, che esce primo a recitare il prologo, osserva giustamente il Grégoire (pag. 173) che «è curioso e chiacchierone come uno schiavo di commedia». Ma questo non può meravigliare: un’aura di comicità ha sempre circonfuso Ermète, da Omero a Luciano: piccole miserie inerenti al mestiere di messaggero.

Piú caratteristica è invece la figura di Apollo. Non appare materialmente su la scena; ma è tanto spesso evocato nel corso del dramma, che finiamo col vedercelo innanzi agli occhi, come un vero personaggio.

Personaggio punto simpatico. Ha commessa una cattiva azione, e tutti gliela rinfacciano. Prima Creusa, la sua vittima.

Ehi là, di Latona figliuolo,
dico a te, che i responsi partisci
sopra i seggi dorati, e le sedi
della terra centrali: alle orecchie
la mia voce farò che ti suoni.
Ehi là, seduttore malvagio,
che sino alla casa
del mio sposo, che grazia veruna
non ha presso te,
conduci un figliuolo.