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XVI | EURIPIDE |
Altri simili tratti potrà rilevare ogni lettore, quasi in ogni dramma. Ricordo che neanche Alcesti si salva. In punto di morte trova modo di rinfacciare al marito il suo beneficio; e i Francesi non dicono male, che chi rinfaccia il beneficio perde diritto alla gratitudine.
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E assai piú numerosi i personaggi che, pur serbando il nome mitico, eroico, compiono azioni e pronunciano parole destituite di qualsiasi nobiltà, e spesso di qualsiasi dignità.
Il Giasone della Medea è un esecrabile ipocrita, freddo, calcolatore, cavillatore, disumano: né bastano a riscattarlo le lagrime che sparge infine sulla sorte dei figli, e che sembrano espresse da un vero dolore.
Admeto, nell’Alcesti, è un piagnucoloso egoista, pieno di belle parole, e a fatti codardo; e tanto incosciente, che non si pèrita di lanciar sul vecchio padre, e con profluvio di vituperii, la taccia di viltà e d’egoismo che tanto di piú, per ogni verso, conviene a lui stesso.
Agamennone, nella Ifigenia in Aulide, è un miscuglio d’irresolutezza e di codardia. E non meno antipatico appare nell’Ecuba, dove, da principio sembra che provi pietà per la misera regina, e quando questa comincia a supplicarlo, fa per allontanarsi. E dichiara che è pienamente convinto della sua ragione, ma che non farà nulla per aiutarla, se non ottiene prima il consenso dell’esercito. E, infine, si chiude in una inerte neutralità; e confessa cinicamente che indugia a partire solo perché non spira il vento; se no, non terrebbe in alcun conto le ragioni della misera.
Meschino e odioso, nella stessa tragedia, appare Menelao. Non il punto d’onore lo ha spinto a provocare la lunga guerra di Troia, bensí il desiderio di riavere la sua bella