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PREFAZIONE | XV |
la loro effettiva bravura, non li sminuisce, anzi li circonda di un alone di simpatica umanità.
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Ma di fronte a questo gruppo di veri eroi, eccone un altro, assai piú fitto, di personaggi scaduti dall’alta dignità a loro attribuita dal mito.
E se il mito accennava a loro difetti e manchevolezze, il poeta, invece di sorvolare o temperare, insiste. Di Andromaca si narrava che essa era andata sposa a Neottolemo, figlio dell’uomo che aveva ucciso il suo grande Ettore. Tutti, certo, glie ne facciamo appunto, in cuor nostro: essa avrebbe dovuto preferir la morte. Ma tutti esitiamo a pronunciar la condanna, tanto ci ammalia la sua bella figura.
Ed Euripide ama Andromaca, palesemente. Pure, fa sí che l’accusa venga a galla, e che le sia rivolta, nella maniera piú cruda, dalla rivale Ermione.
Ed a tal punto di stoltezza, povera
te, giunta sei, che presso al figlio ardisci
giacer d’un uomo che il tuo sposo uccise,
e figli procrear dall’assassino.
Ed anche dove il mito tace, egli scava, per trovare le molle segrete, il motivo basso e meno confessabile di qualche magnifico atto eroico: cerca la fodera dell’eroismo. Tipico è l’esempio di Achille nella Ifigenia in Aulide. Il suo contegno e le sue parole sono veramente da eroe. Ma poi distrugge tutto con una confessione che noi qualificheremmo cinica. Non difende Ifigenia — confessa — per pietà della sua misera sorte; bensí per ripicca: perché Agamennone, per far venire al campo le due donne, si è servito del suo nome senza prevenirlo.