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XIV | EURIPIDE |
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Personaggi di tempra simile, se non proprio uguale, non mancano neppure nel teatro d’Euripide. Ippolito è puro eroe, di parole, di opere, di pensiero. Eroe è Teseo ne Le Supplici; e, in fondo, non discende da questa sua posizione neanche nell’Ippolito: erra, ma tratto in inganno, per colpa della bassa ira di Afrodite, e della stolta acquiescenza di Posídone. Artemide ha un bel caricarlo di rimproveri e d’oltraggi, ha un bel sentenziare che Posídone suo padre ha fatto bene ad esaudire il suo voto: noi sentiamo che la colpa è tutta quanta dalla parte dei Numi; e la gravità del presunto fallo d’Ippolito è tale e tanta, che anche un parricidio avrebbe trovate grandi attenuanti. E, ad ogni modo, mai non dice né opera alcunché di basso: sicché rimane nella linea dell’eroismo.
Su per giú, le stesse riflessioni si attagliano ad Ercole. L’orrendo scempio dei figli, che, se cosciente, non intaccherebbe l’eroismo nel senso piú stretto e preciso, ma pure gitterebbe su lui un’ombra cosí fitta da non trovar luce che potesse diradarla, in realtà non si può menomamente imputare al misero padre. La responsabilità ne ricade tutta su Era che l’ha voluto, su Iride che l’ha secondata, su Giove che ha lasciato fare. Del resto, prima dello scempio, Ercole appare qui purificato di tutti i tratti meno onorifici di cui lo gratificava la tradizione. Eroe puro.
E purissimo appare nell’Alcesti. E i colori umoristici di cui appare un po’ circonfuso, massime nella scena del servo, sono un’ombra luminosa, che meglio fa risaltare il suo fulgido eroismo. A questa concezione si rannodano anche, e le gravitano attorno, il Pelèo dell’Andromaca, e lo Iolào de Gli Eraclidi. Quel pizzico di fanfaronismo che accompagna