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XII | EURIPIDE |
per gelosia del talamo di Giove,
essa l’uomo abbatté ch’era de l’Ellade
benefattore e immune era da colpe.
Ed ecco, nell’Ecuba, una delle tante dichiarazioni d’incredulità circa le malefatte dei Numi. La esprime la infelicissima madre d’Ettore:
creder non posso io che i Numi
vaghi sian mai d’illeciti connubii,
né che le mani l’un dell’altro avvincano
credetti o crederò mai, né che siano
soverchiatori uno dell’altro. Un
se veramente è Dio, di nulla ha d’uopo.
Dei poeti son queste inani favole.
Fanno eccezione le Baccanti, dove le azioni di Diòniso, che sono, senza contrasto, vituperose, vengono invece giustificate e quasi esaltate. Ma sotto una luce speciale va considerata questa tragedia, che è una voluta e fervida palinodia, una abiura di quasi tutti i principii etici ed artistici esplicitamente e implicitamente propugnati nelle altre tragedie.
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Diamo ora un’occhiata agli eroi. Ma per valutarne debitamente la numerosa schiera, bisogna anche qui stabilire prima quale fosse il concetto d’eroismo, quale il prototipo dell’eroe nei due grandi predecessori d’Euripide.
Consideriamo i principali personaggi di Eschilo e di Sofocle: Agamennone, Clitemnestra, Oreste, Etèocle, Polinice, Edipo, Aiace, Filottete, Ercole, Elettra.
Ora, è bensí vero che nelle piú correnti interpretazioni della