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X EURIPIDE

il Dio sa in anticipo il trionfo del mortale; e lo prospetta a Tànato, per dispetto e vituperio, come i bambini quando minacciano ai nemici il castigo dei grandi. È, tutto sommato, un buon diavolo. Ma anche un povero diavolo.

E peggio nello Ione, dove ha un po’ del furfante, perché seduce Creusa, e poi l’abbandona. E alla fine del dramma, la furfanteria si colorisce di comicità, perché Atena giunge a parlare in suo nome, e asserisce che non è venuto egli stesso a sbrogliare la matassa, per paura che tornasse in ballo la storia dell’antico suo fallo.

Era, nell’Ercole, è figura come non si potrebbe immaginare più odiosa. Per sfogare contro l’eroe la gelosia concepita contro la madre di lui, lo dissenna e lo spinge alla strage dei figli. Non meno odioso di lei Giove, che l’asseconda, ma vuole che prima l’eroe compia le dure prove al servigio dell’inetto e crudele Euristeo. E, a momenti, li supera tutti e due Iride, che partecipa il loro odio senza nessuna giustificazione, per semplice malvagità.

E della medesima risma è l’Afrodite dell’Ippolito. Nel prologo confessa cinicamente d’essere indispettita perché Ippolito l’onora poco (potrebbe dire: meno d’Artemide). «Anche fra i Numi — dichiara — esiste questa debolezza». Come fra gli uomini, si sottintende. Ma davvero non avveniva tutti i giorni, neanche al tempo degli Atridi, che per una semplice mancanza di riguardo si facesse morire di morte straziante un giovane principe nel fiore dell’età.

Atena, nella Ifigenia in Tauride, si compiace dei riti di sangue che nella stessa tragedia son dichiarati disumani. E nelle Troadi, per l’offesa d’un solo, Aiace Oileo, che strappa dall’ara a lei sacra la supplice Cassandra, converte in odio l’amore per gli Elleni, e incita Posidone a scatenare su loro, a sterminio, tutte le sue tempeste.

E, discendendo a un livello minore, ecco, nell’Andromaca,