da le pupille, che dí e notte celebra
fra donne giovanette i riti bacchici.
Se mai l’avrò fra queste mura, il capo
gli spiccherò dal busto, che mai piú
non vibri il tirso, né squassi le chiome.
Ei bandisce che esiste un Dio Dïòniso,
cucito un dí di Giove nella scapola,
che fu bruciato dal fiammante folgore
con la sua madre insiem, perché, mentendo,
favoleggiò di sue nozze con Giove.
E se tale onta a noi reca il foresto,
non è, chiunque ei sia, degno d’un laccio?
Si accorge di Cadmo e di Tiresia.
Ma che nuovo prodigio io veggo mai?
L’indovino Tiresia, avvolto in pelli
varïopinte, e il padre di mia madre
che folleggian col tirso! Eh via, ridicoli!
Mi vergogno per voi, padre, che veggo
sí dissennata la vecchiezza vostra!
A Cadmo.
Ti vuoi strappar quella corona? Lasci
quel tirso, o padre della madre mia?
Tiresia, a ciò tu l’inducesti? Intrudere
questo novello dio tu vuoi fra gli uomini
per trar novelli augurî, ardere vittime,
e averne poi la tua mercè. Se schermo
non ti facesse la tua chioma bianca,
in ceppi già saresti fra le Mènadi,
di tristi riti o introduttor: ché dove
trovo donne in baldoria e umor di grappoli,
non credo a santità di cerimonie.