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Una speciale considerazione merita il kommós, la lamentazione funebre dell’Agamènnone. Il kommós era, come sappiamo, una parte integrale e tradizionale della tragedia: e precisamente, gli antichi teorici lo definiscono: una lamentazione fra il coro e i personaggi della scena1. E s’intende che la lamentazione deve essere concorde. Ma qui non è cosí. Qui il popolo e la regina sono in contrasto. Quello si abbandona all’impeto della passione, rompe in esclamazioni appassionate: questa lo interrompe ad ogni frase, con rimbecchi logici che si innestano sulle esclamazioni liriche come estri maligni ai fianchi d’un generoso corsiere. E tale è la linea di questa meravigliosa lamentazione: un fiume d’armonia gonfio torbido amaro, spezzato ogni po’ dalle aspre note, logiche insistenti pettegole, di Clitennestra.

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Mi sembra di avere offerti al lettore non ellenista i principali elementi che occorrono alla piena intelligenza di Eschilo. Il resto è questione di gusto, e non esige preparazione specifica. Voglio solo osservare come nella trilogia, e massime nelle parti corali, si possa osservare un procedimento che ricorda il tematismo musicale. Certe idee sono ripetute piú e piú volte, in forma sempre nuova, e spesso con gradazione di sviluppo. Sono veri e proprî tèmi. Per esempio, la coscienza che hanno gli Argivi del

  1. Aristotele, Poetica XII: κομμὸς δὲ θρῆνος κοινὸς χοροῦ καὶ ἀπὸ σκηνῆς.